Le prime protesi mammarie in silicone risalgono agli inizi degli anni ’60 e sono frutto della geniale intuizione di un brillante chirurgo americano di nome Thomas Cronin. Si trattava di protesi rotonde, con una sottile parete liscia in silicone e contenenti un gel sempre di silicone molto fluido. Queste protesi presentavano alcuni svantaggi tra cui il cosiddetto “bleeding” o in italiano “sgocciolamento” ossia la fuoriuscita di microparticelle di silicone attraverso l’involucro della protesi. Per ovviare a tale problema le protesi di seconda generazione sono state prodotte con una parete più spessa ed un gel meno fluido e più compatto. In questo modo si provvedeva ad eliminare un altro problema frequente con le prime protesi e cioè lo “spieghettamento” della parete che, nei casi di pazienti con pelle sottile ed impianto mammario sopramuscolare, poteva anche creare un brutto effetto estetico soprattutto a livello dei quadranti mediali delle mammelle. Un ulteriore evoluzione è stata la “testurizzazione” vale a dire un trattamento particolare con cui la superficie delle protesi mammarie viene trasformata da liscia a rugosa. Questo particolare aspetto migliora l’accettazione della protesi da parte dell’organismo femminile in quanto riduce di molto il rischio di contrattura capsulare (termine che indica un ispessimento ed una retrazione della capsula fibrosa che normalmente si forma intorno alla protesi mammaria con deformazione estetica della mammella e, nei casi più gravi, anche dolore). La terza generazione di protesi mammarie (quella attuale) è formata da protesi mammarie con parete ancora più spessa che elimina completamente qualsiasi fenomeno di “bleeding” e gel siliconico all’interno molto coesivo e compatto, tale per cui se anche la protesi dovesse rompersi no vi sarebbe alcuna fuoriuscita di silicone all’esterno.

Le ditte produttrici di impianti mammari offrono protesi molto diverse per dimensione per forma. Quest’ultima può essere rotonda (a basso, medio ed alto profilo) oppure a “goccia” ossia anatomica. Alcune ditte vendono protesi mammarie ricoperte in schiuma di poliuretano che secondo alcune ricerche sembra ridurre ulteriormente il rischio d contrattura capsulare.

Molti studi negli anni passati hanno dimostrato in modo chiaro ed insindacabile l’assoluta innocuità delle protesi mammarie che, per altro, se posizionate in un piano sottomuscolare non interferiscono nemmeno con qualsiasi indagine strumentale (ecografia o mammografia) utile per una diagnosi precoce di tumore mammario. Le protesi quindi non aumentano il rischio di cancro della mammella ed addirittura, secondo alcuni studi italiani, proteggono le donne dalle neoplasie mammarie gravi in quanto richiedendo controlli clinici periodici consentono di diagnosticare tumori del seno anche in uno stadio molto precoce.

Un altro timore infondato sulle protesi mammarie è che possano scoppiare in aereo. Questa leggenda metropolitana è nata dopo che un’attrice aveva riferito tale circostanza durante un volo in aereoplano. Come molti sanno nella cabina degli aerei moderni c’è un sistema di pressurizzazione automatico per cui viene creata una pressione in cabina pari a quella che c’è in montagna (ad esempio a Cervinia). Se bastasse questo calo di pressione per avere la rottura di una protesi mammaria tutte le donne con protesi che vanno a sciare avrebbero lo stesso problema! E’ chiaro quindi che si tratta di una falsa notizia creata ad arte per attirare la curiosità dei lettori di riviste alla moda.

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